domenica 22 aprile 2018


LO STUDENTE TERRORIZZATO

È frequente entrare in relazione con studenti che hanno il “panico da esame”. Chi non ha mai provato timore all’idea di essere interrogato, di andare alla lavagna o alla cattedra, oppure di parlare in aula al cospetto del “terribile” professore e di fronte ai compagni?

L’ansia e l’agitazione sono emozioni utili a qualsiasi performance scolastica, fino a che non bloccano la prestazione. Si può affermare che l’ansia d’esame diventa un problema quando assume alcune particolari caratteristiche.  L’idea di dover  sostenere un esame è associata ad  intensi sintomi di ansia, preoccupazione, pensieri o immagini “catastrofici” il cui contenuto può, ad esempio, riguardare l’essere bocciati, fare una figuraccia, fare scena muta, avere una crisi di panico, scappare all’ultimo momento, sentirsi falliti, umiliati, difettati o deludere gli altri. 

Gli stimoli che evocano terrore sono i momenti dell’interrogazione, dell’esame scritto o orale, del compito in classe e delle domande del professore in aula. Anche il semplice anticipare mentalmente una di queste situazioni sortisce gli stessi effetti terrorizzanti del viverla. Si possono avere somatizzazioni come disturbi gastrointestinali, mal di testa, dolori aspecifici, svenimento, capogiri, tachicardia, fitte al petto. Lo studente può trasformarsi in una tabula rasa: non ricorda, non sa più niente, sente di non essere in grado di parlare o esporre quanto studiato. 

La paura può essere più o meno acuta a seconda dei contesti e delle situazioni d’esame; è tipico considerare più terrorizzante l’esame orale di quello scritto; l’interrogazione vis a vis con il docente è diversa che in gruppo; l’interrogazione programmata è ben differente da quella a sorpresa. La reazione più naturale di fronte alla paura è spesso l’evitamento; l’esame, l’interrogazione, il compito si saltano per dei malesseri che colpiscono inspiegabilmente lo studente il giorno dell’interrogazione o del compito in classe, costringendolo a rimanere a casa, a fuggire dall’aula qualche minuto prima di essere chiamati, oppure “vagabondare” per le strade della propria città in orari scolastici. L’evitamento spesso è una reazione a esperienze d’esame vissute come traumatiche e di cui lo studente mantiene vivo il ricordo: un’interrogazione imbarazzante, un esame fallito diverse volte, ecc. 

 
La paura dell’esame, dell’interrogazione sono fenomeni soggettivi: è possibile superarli solo in prima persona, più se ne parla più si complica, per cui è dannoso chiedere rassicurazioni continue ai compagni, ai genitori ecc. È ugualmente dannoso pensare di gestire e sedare l’ansia con sostanze e/o farmaci; lo studente può utilizzare sostanze con l’obiettivo di rassicurarsi (acquisire maggior coraggio nell’affrontare la situazione ansiogena dell’esame o dell’interrogazione) o di migliorare le proprie capacità cognitive (essere sicuro di riuscire a ricordare, sentirsi più lucido). Delegare a una sostanza aumenta l’insicurezza e diventa il viatico per un sicuro insuccesso.


Gli studenti spesso sono consapevoli che la loro paura è irrazionale o, quanto meno, esagerata, tuttavia non riescono a liberarsene. Paradossalmente, il fatto di essere consci di esagerare il “pericolo” legato all’esame li espone ad ulteriori sofferenze che derivano dalla considerazione di essere diversi dagli altri, di essere più fragili, di essere dei falliti, di non  poter raggiungere traguardi ambiziosi, di deludere gli altri; queste “riflessioni” possono compromettere l’autostima, innescare vissuti di inadeguatezza a cui spesso si accompagnano sentimenti di vergogna, autosvalutazione  e depressione. Nei casi più gravi l’ansia d’esame può spingere la persona abbandonare gli studi nonostante le rilevanti potenzialità. L’ansia d’esame può influire in maniera significativa sulla qualità della vita della persona e questo deve far riflettere circa l’importanza di un trattamento psicoterapeutico efficace.

domenica 8 aprile 2018


LA PAURA DI ESSERE GIUDICATI

Questo è un aspetto della personalità sconosciuto solo a pochi. Oggi ci si sente accettati dal gruppo solo se ci si comporta come il gruppo, per cui diventa importante quel particolare capo di abbigliamento o quel particolare gadget elettronico. Averli rende tranquilli per un po’, fino a quando inizia a farsi viva l’idea: “Quanto valgo realmente? Basta vestirmi così per sentirmi accettato dagli altri ed essere parte del gruppo?”
Il timore del giudizio degli altri diventa un problema quando la paura di ciò che gli altri dicono e pensano di noi ci limita al punto che si evitano di fare cose che vorremmo fare e/o non si riesce ad ottenere i risultati sperati.
L’essere umano è un animale sociale: comunica, parla, agisce in un contesto sociale, di cui il giudizio è una costante dell’esperienza umana. Pertanto il rischio di giudizio non riguarda solo i ragazzi ma anche gli adulti e gli anziani. Si può temere di essere mal giudicati per il nostro aspetto, il nostro atteggiamento, le nostre scelte, la nostra età ecc.; di essere umiliati, derisi, rifiutati. Pensiamo ad esempio alla paura di parlare in pubblico, pensando di poter fare una figuraccia, di sbagliare, di impappinarsi, di confondersi.  Nessuno è immune al timore del giudizio.

La persona che ha paura del giudizio degli altri diventa spesso eccessivamente disponibile, accondiscendente e sempre attenta a ciò che gli altri pensano; dando importanza al giudizio degli altri più che al proprio, finendo col perdere di vista se stessa. Molte volte accade anche che, per essere apprezzate ed amate, le persone antepongano i bisogni degli altri ai propri. Paradossalmente, queste persone più si sforzano di compiacere gli altri, più si sentono inadeguate e sole; dentro di sé finiscono col pensare “se gli altri mi conoscessero per come sono realmente, anziché per come mi sforzo di apparire, non mi apprezzerebbero”.
Le situazioni sociali fonti di apprensione o paura possono essere potenzialmente infinite, ma a grandi linee si possono dividere in 5 grandi categorie:
1) Situazioni di performance: superare un esame o un colloquio in cui si valutano le proprie capacità, fare una presentazione o tenere una conferenza, leggere un testo durante una cerimonia;
2) Situazioni di osservazione: essere osservati (o credersi osservati) mentre si fa qualcosa come camminare, mangiare, bere, scrivere o firmare, ordinare al ristorante, usare un bagno pubblico, guidare l’auto o parcheggiare, entrare in una stanza piena di gente anche se non si fa niente di preciso;
3) Situazioni di affermazione: difendere i propri diritti, esporre il proprio punto di vista, esprimere i propri bisogni (es. trattare un prezzo, presentare un reclamo, dire che non si è d’accordo);
4) Situazioni di rivelazione di sé: doversi rivelare in modo un po’ più approfondito e impegnativo (es. fare la conoscenza di qualcuno, stringere una relazione amichevole o sentimentale);
5) Situazioni di interazioni superficiali: dover parlare con altri in maniera informale, superficiale (es. scambio di banalità con un vicino di casa, con un negoziante, con un collega di lavoro presso il distributore del caffè).